Ora che i giornali hanno annunciato una miniserie che vedrà la Bellucci nei panni di Tina Modotti, Tina Modotti ri-diventerà famosa.
Chi la conosce non ha aspettato la interpretazione della famosa attrice italiana per esserne incuriositi, e per rimanere affascinati da una vita tanto intensa e piena di passioni.
Emigrante friulana. Diva del muto a Hollywood. Comunista perseguitata e forse uccisa. Giornalista e scrittrice. Cantata da Neruda e Alberti, modella di Diego Rivera. Raffinata fotografa. Bellezza sensuale, compagna di uomini straordinari e amante di donne come Frida Kahlo. Può bastare come sintesi?
Certo, ogni aspetto della vita di questa piccola fascinosa donna sarebbe da approfondire. Io, voglio qui ricordare che Tina fu, soprattutto, fotografa. Perché lei amò molto le foto, perché la sua fotografia è considerata dagli esperti, pur con varie sfumature, una delle più importanti testimonianze dell’inizio del secolo scorso.
La sua produzione non è molto vasta, eppure attraversa diverse fasi: prima la natura; poi l’architettura e le forme geometriche; poi gli uomini e le donne dolenti: quelli che conoscono la povertà come lei l’ha conosciuta; quelli le cui mani si fanno nodose per troppo fare e i visi si impietriscono per troppo sopportare.
Sarà soprattutto il Messico, la terra conosciuta insieme al grande amore, e grande fotografo, Edward Weston, a diventare oggetto della sua arte.
Di certo Weston, sposato e con quattro figli, di questa sua modella dal corpo statuario si innamorò: e le foto famose (anche troppo) in cui fa esplodere la sensualità della piccola, bruna, italiana, sono testimonianza di passione. Ma non fu solo questo: Weston cambierà la vita di Tina dandole tutti gli insegnamenti possibili sulla tecnica fotografica di cui già la giovane donna si appassionava. Soprattutto, attraverso l’amore, il famoso fotografo aveva capito la intelligenza, la insaziabile curiosità, le passioni che animavano la donna amata. E l’arricchì. E la lasciò vivere come voleva.
Tina, friulana d’origine, aveva fatto solo le prime tre classi elementari: la famiglia era povera e a poco a poco tutti erano emigrati: prima in Carinzia, poi in America. E lì (Tina vi arrivò intorno al 1913) fece di tutto: operaia, sarta, attrice in un teatrino di dilettanti, creatrice di stoffe dal design originale. Come una spugna, grazie anche all’aiuto del primo marito, l’artista giovane, e bello, che gli amici chiamavano “Robo”, Tina si impossessò di tutte le conoscenze che fino a quel momento le erano state negate. La sua sete di sapere, e il suo fascino, vengono ben descritti da Rafael Carrillo, allora membro del partito comunista: “Voleva vedere tutto, conoscere tutto, imparare, capire… Era straordinariamente bella, e tutti gli uomini – io non rappresento un’eccezione – si innamoravano di lei, nonostante non fosse affatto civetta, e non facesse niente per provocare queste reazioni. Aveva solo quella stupenda grazia naturale…”.
Lo dicevo: Tina amò molto le sue foto e mai le rinnegò: “Mi considero una fotografa e niente di più”, amava dire. Eppure, un giorno, Tina abbandona la macchina fotografica. Così nelle memorie di Pablo Neruda: “Gettò la macchina fotografica nella Moscowa e giurò a se stessa di dedicare la sua vita ai più umili compiti del Partito Comunista…”.
Altra passione, dunque, era sopravvenuta: la causa sociale, la speranza di una diversa fratellanza, di una giustizia che permettesse il riscatto dei poveri.
Sotto questa bellissima foto del 1924, che racconta di un albero, di un cane, della geometria dell’ombra (l’allieva ha superato il maestro, come ammise lo stesso Weston?) c’è una firma.
Tina (Tinissima la chiamava la madre) esprime, con quegli angoli acuti, con gli ingrossamenti sulla barra delle t che sembrano delle mazze, la volontà di affermazione: tutte queste caratteristiche si ritroveranno predominanti nella grafia negli anni ‘24-’27 e testimoniano la forza di quella italiana che ha tutto amato con passione e che le sue idee, le sue azioni, ha difeso con la forza delle motivazioni.
Però, e davvero l’analisi della scrittura nel suo percorso si fa storia personale, in altre lettere precedenti (questa a seguire è del 1922), pur confermando – anzi ancora meglio evidenziando nella inclinazione a destra e nell’allargamento tra lettere, nella presenza di angoli, triangoli, mazze – la voglia di andare, di sperimentare, di riuscire, tutto appare più incerto: lei, nella tensione del tratto che non tiene, appare più fragile, seppure ugualmente instancabile.
E la scrittura sarà diversa dopo: guardiamo, per esempio, questo brano del 1931. Tina scrive da Mosca dove intanto si era arruolata nel Soccorso rosso internazionale (anche come agente segreto) per aiutare i profughi, e chi avesse bisogno: seppure le fosse stata offerta la possibilità di lavorare come fotografa del partito, aveva rinunciato.
Non c’è più in questo tracciato senza particolari eccessi, quasi sobrio, l’appetito del fare, magari con la necessità di difendersi. C’è una riflessione che impiccolisce la scrittura, riduce quei tratti troppo neri, dà aria al tracciato: ci dice di una interiorità in cui si dà spazio ai dubbi, alle perplessità nuove che saranno da affrontare.
La notte del 5 gennaio 1942, dopo una cena da amici, Tina muore sul taxi che la sta riportando a casa, a Città del Messico. Colpita da infarto. Ma qualcuno non ha voluto crederci, e ha parlato di avvelenamento.
“É vero. Non sei morta. Tu non dormi
perché hai colto il fine che speravi.
Dammi la mano, sorella, camminiamo insieme.
Oggi tu stai parlando, qui. Vieni. Ascoltiamo”
(Rafael Alberti)
Anna Rita Guaitoli
Tina Modotti, una donna ancora oggi amata e ammirata, un personaggio sconosciuto a molti ed enfatizzato da altri che è riuscita a vivere più di una vita in una sola, una vita tempestosa di luci e ombre.
Nasce in una famiglia operaia e socialista, contrassegnata dalla povertà, dalla fame e dai debiti, a 12 anni interrompe gli studi e va a lavorare in una filanda per contribuire all’economia familiare.
Il padre, è costretto ad emigrare, dapprima in Austria e poi in America, dove la sua numerosa famiglia lo raggiungerà, inclusa Tina.
Vive un’infanzia e un’adolescenza difficili, una ragazza inquieta con un estremo bisogno di indipendenza che, spesso, l’ha portata a vivere senza nessun coinvolgimento: tutto era interessante ma nulla soddisfacente, si stufava presto delle cose e voleva provarne continuamente nuove.
Sempre sincera con sé stessa e con gli altri, riservata, silenziosa, indipendente, coraggiosa, libera, fedele ai suoi ideali, forte e straordinaria che ha trasformato le sue passioni nel motore della sua esistenza. La sua breve ma intensa vita evolve di continuo e in più occasioni ha dovuto e saputo reinventarsi, da operaia a modella, da attrice a fotografa, musa di famosi artisti dell’epoca, attivista politica, rivoluzionaria, esule, scrittrice, Tina ha vissuto ogni sfaccettatura della sua vita, restandone spesso schiacciata. Osannata dal pubblico e dai critici hollywoodiani, disapprova il modo in cui la sua immagine è presentata e così decide di interrompere la carriera di attrice e si dedica a rimanere dietro l’obiettivo perseguendo il suo insegnante e compagno Edward Weston.
La personalità di Tina affascinava tutti coloro che la conoscevano per quel carattere enigmatico, malinconico ma sempre con un coinvolgente grande entusiasmo e gioia di vivere.
Le sue idee radicali la portano all’emancipazione rispetto all’epoca e con il tempo è divenuta il simbolo della nuova condizione femminile del Novecento, in netto anticipo rispetto ai costumi dell’epoca. Tutt’oggi viene considerata una femminista che lottava per la liberà e per i diritti delle donne.
Fin da bambina, in ogni suo lavoro si impegnava tanto e nella fotografia aveva un modo di essere originale, in conflitto tra l’arte e la vita, nell’eterna lotta nel desiderio di plasmare e domare la vita stessa al suo temperamento e ai suoi bisogni: questa era Tinissima.
Si avvicina fin da piccola alla fotografia frequentando lo studio dello zio e, sebbene ai suoi tempi, fosse un’arte prettamente maschile, Tina ne è stata una antesignana ed è riuscita a ottenere un posto di tutto rispetto e a essere proclamata tra i migliori fotografi del Novecento, utilizzando il suo talento per raccontare nel migliore dei modi i suoi ideali sociali e politici mettendo a fuoco gli aspetti più veri della realtà. Nonostante tutto intorno a lei fosse complicato, non ha mai mollato. La giovane Modotti era piena di idee, ambizioni, fantasie che è riuscita sapientemente ad immortalare nei suoi scatti, avendo l’abilità di unire la fragilità del suo essere donna, la sua incertezza nell’essere artista, alla forza dirompente dei suoi scatti, diventati riflesso delle sue battaglie, della libertà, delle sue passioni, dei suoi amori, delle sue avventure, facendo diventare gli osservatori compartecipi alla sua vita. Molte delle sue fotografie sono scattate in Messico, terra che la segna profondamente, influenzando le sue scelte politiche e culturali.
Qui è a stretto contatto con la pittrice Frida Kahlo e Diego Rivera, dei quali è anche testimone di nozze.
I suoi inizi da fotografa, ritraggono la natura, composizioni astratte, fiori, poi, successivamente, rivolge il suo obiettivo su forme più dinamiche, garantendo un perfetto equilibrio estetico e una tecnica meravigliosamente moderna per i tempi.
Tina si focalizza sulle persone, raffigurate da mani di lavoratori, volti stanchi, cupi, disillusi, pieni di memoria e di lotte, riuscendo così a trasformare un istante di vita quotidiana nell’immagine non felice del mondo; quel mondo esistente che lei non voleva solo rappresentare con eccezionale precisione in un fotogramma ma rivoluzionare e per questo ha lottato con tutte le sue forze per le sue emozioni e i suoi ideali. Come spesso diceva, il suo desiderio era fotografare ciò che guardava, sinceramente e francamente, in questo modo la fotografia è riuscita a diventare uno strumento di scoperta, di consapevolezza, non solo del mondo esteriore che la circondava ma anche di quello interiore, delle sue insicurezze e fragilità; gradualmente, allo stesso modo, delle sue potenzialità e benché in pochi anni fosse riuscita a percorrere una brillante esperienza artistica, per lei non era abbastanza. Certo è che ogni suo scatto è intriso di sentimento, forza poetica, amore, umiltà, desiderio, passione, speranza, fantasia, ricordo. Le sue fotografie non raffiguravano mai soggetti per lei privi di significato, il suo obiettivo era quello di registrare la vita così com’è e per questo faceva in modo che la sua fotografia non fosse una banale fotografia ma “la” fotografia di un attimo che viene immortalato e resta dinamico, permettendo a chi la osserva di vedere le cose per quelle che sono, riuscendo a comprendere anche ciò che è doloroso accettare. Ogni fotografia appare come il risuono dell’anima tra passato e futuro in un presente, spesso, stremato. Tina ha scelto i suoi soggetti con gli occhi della solidarietà, il suo sguardo è rivolto a cogliere l’essenziale e non l’artefatto, le sue fotografie sono l’occhio spietato della sofferenza, della desolazione e, probabilmente, per questo non è stata sempre compresa e apprezzata come artista.
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