Van Gogh

E’ in giro per l’Italia un Van Gogh multimediale.

Van Gogh Alive (a Roma fino a marzo 2017) è una mostra multimediale che permette una “immersione” dentro le opere. I visitatori possono “entrare” direttamente dentro i capolavori del pittore, attraverso le tremila immagini computerizzate proiettate sulle pareti e i pavimenti del museo.

 

Genio e/o pazzo?

Certo non è il tracciato grafico che può dare qualche risposta in questo senso. Noi non cerchiamo analisi ad effetto o risposte indiscutibili. E, tantomeno, facciamo diagnosi: su cui, comunque, proprio per Van Gogh, anche gli esperti si dividono.

Attraverso l’analisi di diversi documenti, di diversi periodi, possiamo constatare che la firma contiene solo il nome, Vincent.

Che in genere le lettere – e non solo della firma – sono tra loro staccate; che spesso indulgono ad un modello infantile; che il gesto è prevalentemente lento; che molte lettere risultano incomplete fermandosi alte sul rigo e perdendo la parte terminale che dovrebbe legarsi alla lettera successiva (al tu): la l o la t in particolare (con qualche sicurezza, la lettera che può indicare la volontà).

Peraltro, appaiono differenze talvolta macroscopiche nella inclinazione delle lettere. Soprattutto, troppo spesso il tratto che si fa largo e appoggiato quasi trema su se stesso, mentre appaiono dei grumi di inchiostro che stagnano nel tracciato in grande fatica a procedere sul rigo.

La scrittura di Vincent, è vero, varia: talvolta il tracciato si fa più fluido, o almeno più legato e con inclinazione costante. La variabilità dell’umore e il susseguirsi di momenti agitati e tranquilli, sono del resto una sua caratteristica da più esperti messa in evidenza.

Di certo, la prevalenza assoluta degli elementi segnalati (soprattutto nel periodo di Arles, intorno al 1888) fa emergere una emotività enorme, che, nella impossibilità di farla defluire, diventa un peso. Nella stentatezza del tracciato, “Vincent”, dice a se stesso (e a chi vuole sapere) quanto sia difficile per lui conquistare la sua identità.

Il tracciato dell’ultimo anno che appare, nella monotonia, maggiormente tranquillo, precede il suicidio.

Anna Rita Guaitoli

www.annaritaguaitoli.it

 

La ricerca spasmodica della propria identità, di conoscere e capire sé stesso, l’isolamento, l’inadeguatezza, gli fanno perdere ogni contatto con la realtà. Lo si vede dalle sue opere, dove emerge forte la sua precaria salute mentale e le sue profonde inquietudini.

Attraverso la sua pittura, ha espresso dolori e sofferenze con un’intensità unica e rara.

Fin da bambino si è interessato ai colori e ai pennelli, per questo motivo va da uno zio dove inizia a realizzare le sue prime opere. Proprio in questo periodo sono apparsi i primi segnali di quella sofferenza che lo accompagnerà per tutta la vita.

Tutte le sue opere attestano il tormento e la disperazione vissuta. L’utilizzo del colore giallo, a lui tanto caro, è diventato il simbolo della sua inconsolabile e tormentata vitalità.

La sua pittura era ed è vigorosa, impetuosa, surreale ma allo stesso tempo estremamente concreta ed immediata, capace di cogliere l’essenza delle situazioni che andava a mettere su tela e capace di arrivare dritto al cuore di chi osserva le sue opere ancora oggi.

È stato considerato da sempre il pittore malato. La sua malattia, come accennavi, è stata oggetto di molto interesse senza mai giungere ad una diagnosi certa: dalla sifilide all’epilessia, dalla schizofrenia all’intossicazione di assenzio, dalla sindrome di Menière al disturbo bipolare; forse proprio quest’ultimo rimane l’ipotesi più accreditata.

Certo è che, osservando le sue opere, possiamo vedere quanto fosse istintivo, con sentimenti forti e molte volte violenti. Un uomo che ha sempre avuto la lucida consapevolezza di essere incompreso e disperato, come scriveva all’adorato fratello Theo: un uomo chiuso in gabbia, senza riuscire a superare quei blocchi che lo tenevano così distante dagli altri.

Secondo alcuni studiosi, i disturbi dell’artista hanno contribuito alla ricerca della sua autenticità e semplicità, provocando una sorta di liberazione interiore che gli ha permesso di utilizzare forme e colori nuovi che riuscivano a dare l’impressione che ciò che veniva dipinto potesse addirittura prendere vita.

La luce dei suoi dipinti non è mai ponderata, è accecante o tenebrosa, esattamente come i suoi stati d’animo che si modificano in base alle sue esperienze, così anche i colori si alternano in base alle emozioni vissute.

Con i suoi pennelli, ha espresso liberamente sé stesso, pur tuttavia, senza mai esserne appagato.

Ogni particolare delle sue opere rivela la sua disperata inquietudine. Il suo essere e sentirsi creativo e dannato, lo rende, ancora oggi l’artista più affascinante e talentuoso, nonché il più triste in assoluto.

Pasqualina Cioria

www.psicologiapantarei.it

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